Ancora su Santa Maria di Casignano e le sue monache benedettine

Padre Eugenio Casalini nel saggio Sulle orme dei primi Servi di Maria: Moriano e l’ospedale dei Servi (1991), presentò sulla protostoria del suo Ordine, cioè sul tempo precedente alla sua costituzione come ente religioso, una suggestiva ipotesi riguardo ai luoghi di Casignano e di Moriano nel comune di Rignano sull’Arno.
L’idea era quella di contribuire alla localizzazione dell’ospedale dei Servi, che fu frequentato dal gruppo laico dei primi padri Fondatori, la societas Servorum Sanctae Mariae, “per manifestare la propria devozione alla Vergine Gloriosa, con opere di misericordia in servizio degli indigenti”.
L’ipotesi presentava come sede Casignano, ubicato nella diocesi di Fiesole, nel pievanato di San Lorenzo a Miransù e nella parrocchia di Santo Stefano alle Corti, non molto distante dalla chiesa di San Bartolomeo a Moriano, nome non casuale perché in un luogo detto Moriano tra due e trecento inoltrato i frati della SS. Annunziata ebbero un redditizio podere che coltivarono con cura.
A tutt’oggi l’ipotesi del padre Casalini resta valida e le carte che forniscono gli indizi più importanti sono sempre quelle note.
La prima è la pergamena del 28 agosto 1276 sulla vendita conclusa da Guido setaiolo di Ildibrandino e da Benintendi detto Cicalino figlio di Bimbo Balduzio di due terre a Casignano con il compratore che era uno dei più gran signori della Firenze del tempo: Tommaso di Spigliato dei Mozzi.
La seconda è la donazione tra vivi di questi immobili, fatta, tra ottobre e dicembre 1311, tramite Catelano di Puccio da Semifonte procuratore, da Tommaso dei Mozzi a sette donne che desideravano vivere recluse in un monastero proprio e erano rappresentate da un certo Tingo del fu Lapo.
La pia intenzione era stata approvata dal vescovo di Fiesole che aveva concesso la regola benedettina con gli atti di rito scritti nell’ enclave fiesolana di Firenze, cioè a Santa Maria in Campo (vicino al duomo).
Nella carta Casignano era ricordato “populi sancti Stephani de Curtibus, plebatus plebis de Miransu” e quanto donato era “ pro construendo et faciendo ibidem monaster. domos et officinia et oratorium et cimiterium monast.”. Gli immobili erano: 1) “unam petiam terre aratoriam vineatam et cellulas et domos et hospitale et oratorium et alia hedificia sita in dicta petia terre”, 2) la terra-piazza davanti con l’orto e con la “strata” che passava nel mezzo.
In altre parole, gli edifici monastici avevano già annesso un ospedale e la strada in mezzo, lo dice il nome stesso, non era una comune via di campagna, ma doveva essere percorsa da un rispettabile traffico di persone che avevano intrapreso un lungo itinerario.
A queste terre nel 1314 le suore aggiunsero un altro pezzo vicino al monastero e alla strada, comprato dai figli di un certo Migliore ... dopo di che mandarono avanti la comunità nel paio di secoli successivi abbastanza tranquillamente, vivendo di lasciti e donazioni..., se si interpreta così la mancanza di altri documenti di rilievo.
Furono trasferite tra quattro e cinquecento nell’ospedale del Bigallo situato sulla via vecchia aretina nel popolo di San Quirico a Ruballa, pieve dell’Antella, podesteria di Bagno a Ripoli.
L’edificio di Casignano, disabitato, entrò in decadenza. Fu descritto in un inventario del 1682 riguardante le “robe” per uso sacro delle reverende madri del Bigallo nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo a Moriano e nell’oratorio della SS. Annunziata in Casignano “dove anticamente dimoravano le suddette ...”.
In quest’ultimo edificio erano presenti dei quadri dei quali uno di Santo Stefano protomartire, e un altro con San Benedetto, San Niccolò vescovo, sopra alla Vergine un Dio Padre “alla mosaica”, e sotto una significativa SS. Vergine Annunziata ...

Alla storia del monastero si possono aggiungere gli inediti nomi delle sue devote abitatrici nel trecento.
Si ricordano: Giustina (1311), Margherita (1311, 1314), Cecilia (1311, 1314), Maddalena (1311, 1314), Iacoba (1311, 1314), Caterina (1311, 1314), Giovanna (1311, 1314), Francesca (1311), Agata (1314), Agostina (1314), Angiola (1314), Niccola (1314), Colomba (1314, 1350, 1358), Mattea (badessa, 1333, 1350, 1358, del fu maestro Migliore 1366), Cilva (1350), Agnola (1350), Chiara (1350), Paola (1350), Iacoba (1350, 1358) Bartolomea (1358), Giovanna (1358, di frate Maso 1366), Nastasia o Anastasia (1358, di Bartolo 1366, badessa nel 1387 e 1392), Isabetta (1358), Maddalena (di Bernardo, 1366, 1392), Scolastica (di Giovanni, 1366), Francesca (di Vanni, 1366), Caterina (di Gherardo, 1366), Lorenza (di Mino, 1392), Lucia (di Lapo, 1392), Francesca (di Martino, 1392), Benedetta (di Bernardo, 1392), Mattea (di Niccolao, 1392) e Filippa (di Filippo, 1392).

Il monastero ebbe anche un converso per le faccende e gli evidenti lavori che le recluse non potevano fare. Limitando la ricerca sempre al trecento, dette questo incarico a fra Gherardo Albizini (1341), Andrea di Gino (1345, 1348), Domenico di Giacomo (1350, 1354) e Cervagio del fu Baracca (1392, 1396).
Invece accolse Giovanni di Bonso (1394) assieme alla moglie come commessi. Furono ricordati in una carta riguardante l’esenzione dell’uomo dall’estimo e dalle tasse:

“ ... Che gli è vera cosa che el decto Giovanni e lla sua donna, vedendosi vecchi e sanza figluoli, volendo i’ resto de la loro vita dare nel servigio di Dio, per mano di piuvico notaio e solennemente commisono le loro persone e i loro beni, e diciogli e adgiudicarogli nel monistero di santa Maria da Casignano p. di Miransu, e promisono ubidienza e observarono tucte le solennità richieste dalla ragione [sic] ed entrarono nel luogo in persona e stectono e stanno e sono per istare mentre viveranno come ecclesiastichi e commessi nel decto luogo e al servigio delle monache e ordine decto, e l’uno e l’altro portano l’abito di commesso in monistero ...”.

Paola Ircani Menichini, 31 marzo 2023.
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